PER LA QUALITÀ DELLA FORMAZIONE IN ARCHITETTURA
Palermo
13 – 14 novembre 2015
La professione dell’architetto in questi anni è profondamente cambiata in Italia. Sono mutate, per molti aspetti, le competenze necessarie per rispondere alle modalità diverse con cui si realizzano oggi le trasformazioni dell’abitare, peraltro in assenza di un chiaro mandato espresso dalla società civile. A questi cambiamenti non ha corrisposto un aggiornamento dei processi formativi nella scuole di architettura italiane. I percorsi attuali appaiono spesso inadeguati a cogliere ed interpretare adeguatamente le esigenze di una società in mutamento e delle sue variegate domande professionali e tecniche e, allo stesso tempo, in ritardo rispetto a quanto si riscontra nel quadro delle scuole europee e nel dibattito internazionale sull’architettura. ProArch ha più volte richiamato la necessità di riconsiderare i contenuti e le modalità della formazione degli architetti in Italia, sollevando interrogativi sulla latitanza di una effettiva domanda di architettura e sulle attuali condizioni del lavoro dell’architetto che vedono un altissimo numero di laureati, una sovrapposizione di competenze con altre figure professionali e una incerta definizione della formazione dei laureati rispetto ai possibili sbocchi professionali, anche in considerazione della attuale severa crisi del settore delle costruzioni. Oggi la figura dell’architetto come singolo professionista è fortemente ridimensionata, e sostituita dal lavoro in team pluridisciplinari o nelle società di ingegneria. Il rischio è che la complessità delle opere si affronti attraverso una suddivisione delle diverse competenze disciplinari limitando il ruolo, necessario, del progettista come regista che indirizza la soluzione di progetto, controllandone poi le fasi e le componenti. L’architetto finisce per venire considerato come uno degli attori e sempre più spesso confinato a compiti parziali, disgiunti dalle ragioni tecniche, costruttive e impiantistiche così che gli aspetti inerenti la forma invece che accompagnare il percorso delle scelte specialistiche, controllandone spazialmente le ragioni, vengono ridotti a puri apporti di cosmesi. Così, ancora di più, se l’architetto partecipa ad un più ampio processo decisionale di trasformazione della città e dei territori, dove tradizionalmente le questioni della forma vengono collocate al termine di un iter fondato su valutazioni prevalentemente di tipo tecnicoeconomico. Analogamente il docente-ricercatore di “progettazione” si è trovato in ritardo nell’orientare o rispondere alle tematiche dei grandi programmi di ricerca europea ed internazionale, che pongono in primo piano esigenze di sostenibilità ambientale, risparmio energetico, miglioramenti della mobilità, con un accento sui dispositivi e sulle tecnologie piuttosto che sulle innovazioni auspicabili per costruire visioni di insieme dove considerare, come è indispensabile, strategico il ruolo della forma nella sua capacità di offrire qualità e bellezza. Questa divisione tra le diverse componenti del progetto di architettura va quindi riconsiderata criticamente, anche nei percorsi formativi, nella direzione di una maggiore consapevolezza dell’unità del processo di ideazione, che deve comunque richiedere al futuro progettista una conoscenza più approfondita dei vari approcci specialistici. Solo se viene sviluppata all’interno di una conoscenza unitaria, la differenziazione degli specialismi può risultare interessante per costruire percorsi formativi finalizzati a produrre figure particolari quali quella del tecnico-progettista nelle amministrazioni, nelle sovrintendenze, in alcuni ruoli nel settore delle costruzioni e nei campi della sostenibilità e delle energie, della mobilità, della rigenerazione urbana.
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